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16 OTTOBRE 1943

Geografia di una Deportazione

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Villa Wolkonsky, via Ludovico di Savoia 11

Ugo Foà e Dante Almansi sono convocati da Herbert Kappler a Villa Wolkonsky per la richiesta dei cinquanta chili d'oro
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Villa Wolkonsky, via Ludovico di Savoia 11

Ugo Foà e Dante Almansi sono convocati da Herbert Kappler a Villa Wolkonsky per la richiesta dei cinquanta chili d'oro
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Villa Wolkonsky, via Ludovico di Savoia 11

Ugo Foà e Dante Almansi sono convocati da Herbert Kappler a Villa Wolkonsky per la richiesta dei cinquanta chili d'oro
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26 Settembre 1943

26-28 Settembre 1943

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Comunità Ebraica

Raccolta dell'oro
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Comunità Ebraica

Raccolta dell'oro
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Via Tasso 155

Consegna dell'oro
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Via Tasso 155

Consegna dell'oro
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28 Settembre 1943

29 Settembre 1943

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Comunità Ebraica

Saccheggio dell'Archivio
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Comunità Ebraica

Saccheggio dell'Archivio
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Hotel Bernini, piazza Bernini 23

Theodor Dannecker e i suoi ufficiali prendono alloggio all'Hotel Bernini
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Hotel Bernini, piazza Bernini 23

Theodor Dannecker e i suoi ufficiali prendono alloggio all'Hotel Bernini
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4 Ottobre 1943

5-7 Ottobre 1943

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Via Tasso 155

Telegrammi di Kappler all'Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich a Berlino
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Via Tasso 155

Telegrammi di Kappler all'Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich a Berlino
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Comunità Ebraica

Saccheggio della biblioteca
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Comunità Ebraica

Saccheggio della biblioteca
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14 Ottobre 1943

16 Ottobre 1943

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Tutta Roma

La razzia non risparmia nessuno, neanche le persone malate e incapaci di muoversi. E non risparmia nessuna zona della città, che viene rastrellata metodicamente e integralmente. Meno della metà degli arrestati provengono dal quartiere ebraico, l’altra parte dal resto della città.
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Tutta Roma

DA DEFINIRE
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Collegio militare (Palazzo Salviati), via della Lungara 82-83 e Piazza della Rovere

Le persone arrestate durante la razzia del 16 ottobre vengono rinchiuse nel Collegio militare fino al 18 ottobre, quando sono trasferite presso la stazione Tiburtina.
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Collegio militare (Palazzo Salviati), via della Lungara 82-83 e Piazza della Rovere

Le persone arrestate durante la razzia del 16 ottobre vengono rinchiuse nel Collegio militare fino al 18 ottobre, quando sono trasferite presso la stazione Tiburtina.
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16-18 ottobre 1943

18-23 ottobre 1943

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Stazione Tiburtina - Auschwitz-Birkenau

La mattina del 18 ottobre, 1022 ebrei sono trasportati, a bordo di camion, dal Collegio militare alla stazione Tiburtina. Da qui compiranno un viaggio di cinque giorni che avrà come destinazione il campo di Auschwitz-Birkenau.
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Stazione Tiburtina - Auschwitz-Birkenau

La mattina del 18 ottobre, 1022 ebrei sono trasportati, a bordo di camion, dal Collegio militare alla stazione Tiburtina. Da qui compiranno un viaggio di cinque giorni che avrà come destinazione il campo di Auschwtiz-Birkenau.
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Vittime e Sopravvissuti

Biografie dei 16 sopravvissuti al campo di Auschwitz-Birkenau
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16 OTTOBRE 1943

Geografia di una Deportazione

Progetto realizzato dallaFondazione Museo della Shoah

grazie al contributo di Roma Capitale

responsabile del progetto

Marco Caviglia

CURATORI

Marco Caviglia

Amedeo Osti Guerrazzi

Isabella Insolvibile

staff

David Di Consiglio

Roberta Di Nepi

Micaela Felicioni

Archivi

Archivio Centrale dello Stato
Archivio Fotografico delle Ferrovie dello Stato
Archivio storico della Comunità ebraica di Roma
Archivio Storico Istituto Luce
Bundesarchiv, Koblenz
Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea
Hotel Bernini Bristol
Museo Ebraico di Roma
National Archives and Records Administration
Palazzo Salviati
Tribunale Militare di Roma

Archivi privati

Archivio privato Alberto Di Consiglio
Archivio privato Fortunata Di Segni
Archivio privato Giovanni Marino
Archivio privato Lello Dell’Ariccia
Archivio privato Manoela Pavoncello
Archivio privato Marcello e Sandra Alatri
Archivio privato Renato Di Veroli
Collezione privata Sandro Gai

Progetto Multimediale e Sviluppo

EnjoyMuseum s.r.l.

ART di Andrea Rotondo

Un particolare ringraziamento a Ilenia Ndoci

Allestimento

BOTW s.r.l.

Voci narranti

Micol Pavoncello
Fabio Vitta

Un ringraziamento speciale va al Presidente della Fondazione Museo della Shoah,
Mario Venezia, per aver creduto fortemente in questo progetto

26 Settembre 1943

Villa Wolkonsky (Ambasciata tedesca fino all'occupazione tedesca), via Ludovico di Savoia 11

Ugo Foà e Dante Almansi sono convocati da Herbert Kappler a Villa Wolkonsky per la richiesta dei cinquanta chili d'oro

Ugo Foà, Presidente della Comunità Israelitica di Roma tra il 1941 e il 1944, e Dante Almansi, Presidente dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane dal 1939 al 1944, vengono convocati da Herbert Kappler, Capo della Polizia di Sicurezza tedesca (Sipo) a Roma, a Villa Wolkonsky, sede dell’ambasciata tedesca fino all’occupazione. Kappler chiede la consegna di 50 chili d’oro alla Comunità, pena la deportazione di 200 dei suoi membri.

APPROFONDIMENTI

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Ugo Foà

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Dante Almansi

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Herbert Kappler

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villa Wolkonsky

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Verbale dell'interrogatorio

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Almansi in Rigano, p.27

Settimia Spizzichino

Fondazione Museo della Shoah, Roma Fondo David Calò

Settimia Spizzichino

Nasce il 15 aprile del 1921 ed è la quarta di sei figli. In un primo tempo la famiglia vive a Tivoli dove il padre, Marco Mosè Spizzichino, è commerciante. Dopo la promulgazione delle leggi antiebraiche, persa la licenza del negozio, la famiglia decide di trasferirsi a Roma, presso le figlie Ada e Gentile ormai sposate.
Il 16 ottobre i nazisti irrompono nell’appartamento di via della Reginella 2, dove gli Spizzichino risiedono. Con la prontezza che la contraddistingue, Settimia riesce a salvare la sorella Gentile e i suoi tre figli dichiarandoli non ebrei. Lei viene però deportata con la madre Grazia Di Segni, le sorelle Giuditta e Ada, la nipotina Rosanna di solo 18 mesi.
All’arrivo a Birkenau solo Settimia e Giuditta superano la selezione, mentre le altre vengono mandate alle camere a gas. Giuditta, purtroppo, non sopravvive al lavoro schiavo.
Settimia, immatricolata con il numero 66210, viene successivamente trasferita ad Auschwitz I per essere sottoposta a una terribile sperimentazione medica a cui miracolosamente sopravvive. Nel gennaio del 1945 deve affrontare anche la “marcia della morte” verso il campo di Bergen-Belsen, dove rimane fino all’arrivo degli inglesi. L’11 settembre rientra finalmente a Roma.
Settimia è una delle prime persone sopravvissute ad Auschwitz a testimoniare il dramma della Shoah, impegno che avrebbe onorato per tutta la vita.
Nel 1996 esce il suo libro: Gli anni rubati. Muore il 3 luglio 2000 a Roma.

Nasce il 15 aprile del 1921 ed è la quarta di sei figli. In un primo tempo la famiglia vive a Tivoli dove il padre, Marco Mosè Spizzichino, è commerciante. Dopo la promulgazione delle leggi antiebraiche, persa la licenza del negozio, la famiglia decide di trasferirsi a Roma, presso le figlie Ada e Gentile ormai sposate.
Il 16 ottobre i nazisti irrompono nell’appartamento di via della Reginella 2, dove gli Spizzichino risiedono. Con la prontezza che la contraddistingue, Settimia riesce a salvare la sorella Gentile e i suoi tre figli dichiarandoli non ebrei. Lei viene però deportata con la madre Grazia Di Segni, le sorelle Giuditta e Ada, la nipotina Rosanna di solo 18 mesi.
All’arrivo a Birkenau solo Settimia e Giuditta superano la selezione, mentre le altre vengono mandate alle camere a gas. Giuditta, purtroppo, non sopravvive al lavoro schiavo.
Settimia, immatricolata con il numero 66210, viene successivamente trasferita ad Auschwitz I per essere sottoposta a una terribile sperimentazione medica a cui miracolosamente sopravvive. Nel gennaio del 1945 deve affrontare anche la “marcia della morte” verso il campo di Bergen-Belsen, dove rimane fino all’arrivo degli inglesi. L’11 settembre rientra finalmente a Roma.
Settimia è una delle prime persone sopravvissute ad Auschwitz a testimoniare il dramma della Shoah, impegno che avrebbe onorato per tutta la vita.
Nel 1996 esce il suo libro: Gli anni rubati. Muore il 3 luglio 2000 a Roma.

Fondazione Museo della Shoah, Roma Fondo David Calò

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26-28 Settembre 1943

Comunità Ebraica

Raccolta dell'oro

La Comunità ebraica raccoglie i 50 chili d’oro da consegnare ai nazisti.

APPROFONDIMENTI

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Sinagoga

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Verbale dell'interrogatorio

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Verbale dell'interrogatorio

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Almansi in Rigano, p.27

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Video Testimonianza

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Video Testimonianza

28 Settembre 1943

Via Tasso 155

Consegna dell'oro

I 50 chili d’oro sono consegnati a Via Tasso.

APPROFONDIMENTI

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Ugo Foà

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Dante Almansi

29 Settembre 1943

Comunità Ebraica

Saccheggio dell'Archivio

I nazisti saccheggiano l’archivio della Comunità.

APPROFONDIMENTI

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Verbale dell'interrogatorio

4 Ottobre 1943

Hotel Bernini, piazza Bernini 23

Theodor Dannecker e i suoi ufficiali prendono alloggio all'Hotel Bernini

Il comandante del reparto speciale Theodor Dannecker arriva a Roma.

APPROFONDIMENTI

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Theodor Dannecker

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Hotel Bernini

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Hotel Bernini

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Verbale dell'interrogatorio

5-7 Ottobre 1943

Via Tasso 155

Telegrammi di Kappler all'Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich a Berlino

senza descrizione.

APPROFONDIMENTI

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Verbale dell'interrogatorio

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Verbale dell'interrogatorio

14 Ottobre 1943

Comunità Ebraica

Saccheggio delle biblioteche

I nazisti saccheggiano le biblioteche della Comunità e del Collegio Rabbinico.

APPROFONDIMENTI

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Verbale dell'interrogatorio

16 Ottobre 1943

La Razzia

Nonostante la consegna dell’oro, all’alba di sabato 16 ottobre 1943, gli uomini di Dannecker raggiungono le strade di Roma in cui risiedono gli appartenenti alla Comunità. In particolare, l’antico ghetto è circondato e ogni sua via di fuga è bloccata. I soldati entrano nei palazzi e consegnano ai diversi nuclei familiari un foglietto in cui si intima di abbandonare le proprie case entro 20 minuti, portando con sé un bagaglio essenziale e un po’ di viveri. La razzia non risparmia nessuno, neanche le persone malate e incapaci di muoversi. E non risparmia nessuna zona della città, che viene rastrellata metodicamente e integralmente. Meno della metà degli arrestati provengono dal quartiere ebraico, l’altra parte dal resto della città. Molte persone riescono a mettersi in salvo, per la disattenzione dei militari, gli errori negli elenchi, gli avvertimenti e le fughe fortunose, l’aiuto da parte di amici e sconosciuti. La retata si conclude nella tarda mattinata e per i tedeschi, che avevano calcolato di riuscire a catturare 8.000 ebrei, è un insuccesso. Per le circa 1.250 persone che sono state prese, e che vengono portate al Collegio militare, è invece l’inizio della tragedia.

APPROFONDIMENTI

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Verbale dell'interrogatorio

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Verbale dell'interrogatorio

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Almansi in Rigano, p.27

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Video Testimonianza

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Video Testimonianza

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Video Testimonianza

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Video Testimonianza

16-18 ottobre 1943

Collegio militare (Palazzo Salviati), via della Lungara 82-83 e Piazza della Rovere

Le persone arrestate durante la razzia del 16 ottobre vengono rinchiuse nel Collegio militare fino al 18 ottobre, quando sono trasferite presso la stazione Tiburtina.

Durante la detenzione nel Collegio militare avviene una prima selezione. Vengono rilasciati i non ebrei, gli stranieri protetti, i “misti” e i coniugi di matrimonio misto, circa 230 persone. Alcuni, invece, riescono anche a scappare.

APPROFONDIMENTI

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Adolfo Di Veroli

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Marcella Perugia

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Cortile del Collegio militare

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Allievi del Collegio militare

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Palazzo Salviati

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Verbale dell'interrogatorio

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Verbale dell'interrogatorio

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Verbale dell'interrogatorio

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Verbale dell'interrogatorio

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Almansi in Rigano, p.27

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Video Testimonianza

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Video Testimonianza

18-23 ottobre 1943

Stazione Tiburtina - Auschwitz-Birkenau

La mattina del 18 ottobre, 1022 ebrei sono trasportati, a bordo di camion, dal Collegio militare alla stazione Tiburtina. Da qui compiranno un viaggio di cinque giorni che avrà come destinazione il campo di Auschwitz-Birkenau.

APPROFONDIMENTI

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Stazione Tiburtina

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Amedeo Tagliacozzo

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Verbale dell'interrogatorio

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Verbale dell'interrogatorio

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Verbale dell'interrogatorio

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Verbale dell'interrogatorio

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Verbale dell'interrogatorio

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Almansi in Rigano, p.27

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Video Testimonianza

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Video Testimonianza

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Video Testimonianza

Biografie dei 16 sopravvissuti al campo di Auschwitz-Birkenau

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Settimia Spizzichino

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Luciano Camerino

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Cesare Efrati

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Leone Sabatello

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Michele Amati

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Cesare Di Segni

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Sabatino Finzi

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Angelo Sermoneta

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Lazzaro Anticoli

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Lello Di Segni

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Ferdinando Nemes

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Isacco Sermoneta

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Enzo Camerino

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Angelo Efrati

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Mario Piperno

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Arminio Wachsberger

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Le Vittime

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Le Vittime

Ritratto di Ugo Foà (1887-1953), presidente della Comunità Israelitica di Roma nei primi anni '40 e per tutto il periodo dell'occupazione nazista, in veste di procuratore generale della Corte d'appello di Roma (1934 - 1938).

Federico Spoltore, olio su tela. Museo Ebraico di Roma

Ritratto di Ugo Foà (1887-1953), presidente della Comunità Israelitica di Roma nei primi anni '40 e per tutto il periodo dell'occupazione nazista, in veste di procuratore generale della Corte d'appello di Roma (1934 - 1938).

Federico Spoltore, olio su tela. Museo Ebraico di Roma

Dante Almansi (1877-1949), giurista, prefetto, consigliere della Corte dei Conti dal 1930 fino alla promulgazione delle leggi antiebraiche. Presidente dell'Unione delle Comunità Israelitiche Italiane dal 1939 al 1944.

Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, 1988

Dante Almansi (1877-1949), giurista, prefetto, consigliere della Corte dei Conti dal 1930 fino alla promulgazione delle leggi antiebraiche. Presidente dell'Unione delle Comunità Israelitiche Italiane dal 1939 al 1944.

Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, 1988

Herbert Kappler (1907-1978), Capo della Polizia di Sicurezza tedesca (Sipo) a Roma.

Bundesarchiv, Berlin

Herbert Kappler (1907-1978), Capo della Polizia di Sicurezza tedesca (Sipo) a Roma.

Bundesarchiv, Berlin

Villa Wolkonsky durante l'occupazione nazista.

The National Archives, Kew, London

Villa Wolkonsky durante l'occupazione nazista.

The National Archives, Kew, London

Verbale dell'interrogatorio di Kappler, avvenuto il 22 agosto 1947, sulla convocazione dei due presidenti Foà e Almansi per la richiesta dei 50 chili d'oro.

Tribunale Militare di Roma

Verbale dell'interrogatorio di Kappler, avvenuto il 22 agosto 1947, sulla convocazione dei due presidenti Foà e Almansi per la richiesta dei 50 chili d'oro.

Tribunale Militare di Roma

Dante Almansi sul suo colloquio con Herbert Kappler, in Silvia Haia Antonucci, Claudio Procaccia, Gabriele Rigano, Giancarlo Spizzichino, Roma, 16 ottobre 1943. Anatomia di una deportazione, Milano, Guerini e associati, 2006.

“Voi e i vostri correligionari avete la cittadinanza italiana, ma di ciò a me importa poco. Noi tedeschi vi consideriamo unicamente ebrei e come tali nostri nemici. Anzi, per essere più chiari, noi vi consideriamo come un gruppo distaccato, ma non isolato dei peggiori fra i nemici contro i quali stiamo combattendo. E come tali dobbiamo trattarvi. Però non sono le vostre vite né i vostri figli che vi prenderemo se adempirete alle nostre richieste. È il vostro oro che vogliamo per dare nuove armi al nostro paese. Entro 36 ore dovete versarmene 50 Kg. Se lo verserete non vi sarà fatto del male. In caso diverso, 200 fra voi verranno presi e deportati in Germania alla frontiera russa o altrimenti resi innocui.”

Da G. Debenedetti, 16 ottobre 1943, Torino, Einaudi, 2001.

“Effettivamente, la sera del 26 settembre 1943, il presidente della Comunità Israelitica di Roma e quello dell’Unione delle Comunità Italiane – tramite il dott. Cappa, funzionario della Questura – erano stati convocati per le ore 18 all’Ambasciata Germanica. Li ricevette, paurosamente cortese e «distinto», il Maggiore delle SS Herbert Kappler, che li fece accomodare e per qualche momento parlò del più e del meno in tono di ordinaria conversazione. Poi entrò nel merito: gli ebrei di Roma erano doppiamente colpevoli, come italiani […] per il tradimento contro la Germania, e come ebrei perché appartenenti alla razza degli eterni nemici della Germania. Perciò il governo del Reich imponeva loro una taglia di 50 chilogrammi d’oro, da versarsi entro le ore 11 del successivo martedì 28. In caso di inadempienza, razzia e deportazione in Germania di 200 ebrei. Praticamente: poco più di un giorno e mezzo per trovare 50 chili d’oro.”

Sinagoga.

Sinagoga.

Ricevute rilasciate in occasione della raccolta dei 50 chili d'oro richiesti da Kappler alla Comunità Ebraica di Roma.

Museo Ebraico di Roma

Ricevute rilasciate in occasione della raccolta dei 50 chili d'oro richiesti da Kappler alla Comunità Ebraica di Roma.

Museo Ebraico di Roma

Ricevute rilasciate in occasione della raccolta dei 50 chili d'oro richiesti da Kappler alla Comunità Ebraica di Roma.

Museo Ebraico di Roma

Ricevute rilasciate in occasione della raccolta dei 50 chili d'oro richiesti da Kappler alla Comunità Ebraica di Roma.

Museo Ebraico di Roma

Testimonianza di Rina Calò, da Silvia Haia Antonucci, Claudio Procaccia, Gabriele Rigano, Giancarlo Spizzichino (a cura di), Roma, 16 ottobre 1943. Anatomia di una deportazione, Roma, Guerini e Associati, 2006.

“Prima del 16 ottobre ricordo che spesso i fascisti venivano in Piazza e ci terrorizzavano. In piazza c’era, poi, Elena «La matta», che raccontava qualcosa sul pericolo delle retate da parte dei nazisti e dei fascisti, ma nessuno le dava retta.”

Da G. Debenedetti, 16 ottobre 1943, Torino, Einaudi, 2001.

“Frattanto però le cose avevano cominciato a mettersi meglio. Ormai tutta Roma aveva saputo del sopruso tedesco, e se ne era commossa. Guardinghi, come temendo un rifiuto, come intimiditi di venir a offrir dell’oro ai ricchi ebrei, alcuni «ariani» si presentarono. Entravano impacciati in quel locale adiacente alla Sinagoga, non sapendo se dovessero togliersi il cappello o tenere il capo coperto, come notoriamente vuole l’uso rituale degli ebrei. Quasi umilmente domandavano se potevano anche loro… se sarebbe stato gradito… Purtroppo non lasciarono i nomi, che si vorrebbero ricordare per i momenti di sfiducia nei propri simili. Torna a mente, e par bella, una ripetuta anche da George Eliot: «il latte dell’umana bontà».”

Da G. Debenedetti, 16 ottobre 1943, Torino, Einaudi, 2001.

“Non che abbassarsi alla formalità di ricevere, di «incassare» quell’oro, il Kappler non degnò neppure mostrarsi. Fece dire in anticamera, da una segretaria, che la taglia doveva essere versata in via Tasso. Forse è questa la prima apparizione di via Tasso nella cronaca gialla e nera dell’occupazione tedesca. Il convoglio riparte da villa Wolkonski, svolta l’angolo, giunge nella via malfamata. In via Tasso gli ebrei si trovano di fronte a un certo Capitano Schultz, certo più crudele che lo Schultz della nostra vecchia grammatica latina. Costui era assistito da un orafo e da un pesatore tedeschi. […] Ma le 20 erano trascorse da un pezzo, e né i presidenti né gli orafi avevano ancora fatto ritorno alle loro abitazioni. Il tic-tac degli orologi, nel silenzio di quelle case, era come il tarlo dell’angoscia, scandiva per i familiari il passo  delle congetture in minuto più moleste. Un trillo assurdo del telefono: ma non erano loro, erano gli amici, quelli che più si erano adoperati per la ricerca dell’oro, e adesso si ritiravano dall’apparecchio con parole che volevano essere di fiducia, e invece erano già di compianto.
Finalmente i quattro uomini rientrarono. Era in loro quel misto di sollievo e di collasso, che subentra in tutta la persona al termine di una grandissima fatica. Il senso, un po’, di chi torna dall’avere accompagnato al cimitero una persona cara, per un cammino lungo e una giornata inclemente, quando si è già estenuati da notti di veglia e di affanno. Ristorarsi, buttarsi in letto, tentare di non pensarci più.”

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Video testimonianze di Rina Pavoncello e Sabatino Finzi, tratte dal documentario "La Razzia. Roma, 16 ottobre 1943", di Ruggero Gabbai.

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Video testimonianze di Lello Di Segni e Graziella Sonnino, tratte dal documentario "La Razzia. Roma, 16 ottobre 1943", di Ruggero Gabbai.

Aldo Gay, opera senza nome, matita 1943. Il pittore illustra il dramma dei ricatto dell'oro in un disegno di quei giorni.

Collezione privata famiglia Gai

Aldo Gay, opera senza nome, matita 1943. Il pittore illustra il dramma dei ricatto dell'oro in un disegno di quei giorni.

Collezione privata famiglia Gai

Aldo Gay, opera senza nome, matita 1943. Il pittore illustra il dramma dei ricatto dell'oro in un disegno di quei giorni.

Collezione privata famiglia Gai

Aldo Gay, opera senza nome, matita 1943. Il pittore illustra il dramma dei ricatto dell'oro in un disegno di quei giorni.

Collezione privata famiglia Gai

Rapporto del 1944 della Questura di Roma sul sequestro degli elenchi degli iscritti avvenuto negli uffici della Comunità ebraica.

Su concessione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Archivio Centrale dello Stato, 1426/2016

Rapporto del 1944 della Questura di Roma sul sequestro degli elenchi degli iscritti avvenuto negli uffici della Comunità ebraica.

Su concessione del Ministero dei beni e delle attività cultuarli e del turismo, Archivio Centrale dello Stato, 1426/2016

Theodor Dannecker.

Bundesarchiv, Berlin

Theodor Dannecker.

Bundesarchiv, Berlin

L'Hotel Bernini negli anni '40.

Hotel Bernini Bristol

L'Hotel Bernini negli anni '40.

Hotel Bernini Bristol

L'Hotel Bernini oggi.

Hotel Bernini Bristol

L'Hotel Bernini oggi.

Hotel Bernini Bristol

Telegramma della Questura di Roma al Ministero dell’Interno sull’arrivo di ufficiali delle SS all’Hotel Bernini.

Archivio Centrale dello Stato, Direzione Generale di Pubblica sicurezza. Divisione affari generali e riservati, II Guerra mondiale, A5G, b. 146

Telegramma della Questura di Roma al Ministero dell’Interno sull’arrivo di ufficiali delle SS all’Hotel Bernini.

Archivio Centrale dello Stato, Direzione Generale di Pubblica sicurezza. Divisione affari generali e riservati, II Guerra mondiale, A5G, b. 146

5 ottobre 1943: «[…] 50 chili d'oro degli ebrei di Roma stanno per essere spediti direttamente al capo della Polizia di Sicurezza».

The National Archives, Kew, London

5 ottobre 1943: «[…] 50 chili d'oro degli ebrei di Roma stanno per essere spediti direttamente al capo della Polizia di Sicurezza».

The National Archives, Kew, London

7 ottobre 1943: «50 chili d'oro ebraico vengono mandati al capo della Polizia di Sicurezza. Suppongo che questo faciliti alla banca del Reich l'acquisizione di valuta estera per il raggiungimento dei nostri scopi».

The National Archives, Kew, London

7 ottobre 1943: «50 chili d'oro ebraico vengono mandati al capo della Polizia di Sicurezza. Suppongo che questo faciliti alla banca del Reich l'acquisizione di valuta estera per il raggiungimento dei nostri scopi».

The National Archives, Kew, London

L'11 ottobre 1943, Dante Almansi, Presidente dell'Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, e Ugo Foà, Presidente della Comunità Israelitica di Roma, comunicano al Ministero dell'Interno l'irruzione dei nazisti nelle biblioteche della Comunità ebraica e del Collegio Rabbinico e la loro intenzione di saccheggiarle.

Su concessione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Archivio Centrale dello Stato, 1426/2016

L'11 ottobre 1943, Dante Almansi, Presidente dell'Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, e Ugo Foà, Presidente della Comunità Israelitica di Roma, comunicano al Ministero dell'Interno l'irruzione dei nazisti nelle biblioteche della Comunità ebraica e del Collegio Rabbinico e la loro intenzione di saccheggiarle.

Su concessione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Archivio Centrale dello Stato, 1426/2016

Biglietto consegnato dai nazisti agli ebrei durante la razzia del 16 ottobre.

Archivio privato Renato Di Veroli

Biglietto consegnato dai nazisti agli ebrei durante la razzia del 16 ottobre.

Archivio privato Renato Di Veroli

16 ottobre 1943, rapporto di Kappler al Capo Supremo delle SS e della Polizia, Karl Wolff "In data odierna, intrapresa e conclusa l’azione concernente gli ebrei secondo il piano studiato messo a punto nel modo ritenuto migliore. Impiegate tutte le forze di Polizia di Sicurezza e d’ordine disponibili. Polizia italiana non coinvolta causa sua inaffidabilità riguardo tale questione. Arresti individuali nei 26 distretti d’azione quindi possibili solo in successione. Impossibile realizzare blocco di intere strade causa status Roma città aperta e insufficienza effettivi polizia tedesca: 365 uomini in tutto. Durante l’operazione protrattasi dalle 5.30 alle 14.00, arrestate nelle abitazioni di ebrei e condotte in luogo di raccolta presso collegio militare 1259 persone. Rilasciati gli stranieri, tra cui un cittadino vaticano, i figli e familiari di matrimoni misti inclusi i coniugi ebrei, domestici e inquilini ariani, rimangono in stato d’arresto 1007 ebrei. Trasposto predisposto per lunedì 18 ore 9.00. Scorta costituita da 30 uomini della Polizia d’Ordine. Comportamento della popolazione italiana: evidente resistenza passiva, in molti casi addirittura interventi d’aiuto. In particolare, ad esempio, i poliziotti hanno trovato sulla porta di un appartamento un fascista in camicia nera con documenti in regola che evidentemente aveva preso possesso dell’abitazione ebraica solo un’ora prima. Rilevati palesi tentativi da parte di vicini di accogliere ebrei in casa propria durante le irruzione negli appartamenti. Presumibilmente ripetuti episodi analoghi. Durante l’operazione non si sono manifestati elementi antisemiti della popolazione mentre la maggior parte di questa ha persino tentato di tener i poliziotti lontano dagli ebrei."

Bundesarchiv Berlin

16 ottobre 1943, rapporto di Kappler al Capo Supremo delle SS e della Polizia, Karl Wolff "In data odierna, intrapresa e conclusa l’azione concernente gli ebrei secondo il piano studiato messo a punto nel modo ritenuto migliore. Impiegate tutte le forze di Polizia di Sicurezza e d’ordine disponibili. Polizia italiana non coinvolta causa sua inaffidabilità riguardo tale questione. Arresti individuali nei 26 distretti d’azione quindi possibili solo in successione. Impossibile realizzare blocco di intere strade causa status Roma città aperta e insufficienza effettivi polizia tedesca: 365 uomini in tutto. Durante l’operazione protrattasi dalle 5.30 alle 14.00, arrestate nelle abitazioni di ebrei e condotte in luogo di raccolta presso collegio militare 1259 persone. Rilasciati gli stranieri, tra cui un cittadino vaticano, i figli e familiari di matrimoni misti inclusi i coniugi ebrei, domestici e inquilini ariani, rimangono in stato d’arresto 1007 ebrei. Trasposto predisposto per lunedì 18 ore 9.00. Scorta costituita da 30 uomini della Polizia d’Ordine. Comportamento della popolazione italiana: evidente resistenza passiva, in molti casi addirittura interventi d’aiuto. In particolare, ad esempio, i poliziotti hanno trovato sulla porta di un appartamento un fascista in camicia nera con documenti in regola che evidentemente aveva preso possesso dell’abitazione ebraica solo un’ora prima. Rilevati palesi tentativi da parte di vicini di accogliere ebrei in casa propria durante le irruzione negli appartamenti. Presumibilmente ripetuti episodi analoghi. Durante l’operazione non si sono manifestati elementi antisemiti della popolazione mentre la maggior parte di questa ha persino tentato di tener i poliziotti lontano dagli ebrei."

Bundesarchiv Berlin

Diario di Fortunata di Segni

<< ll sedici ottobre 1943 i tedeschi poterono sfogarsi bene di tutto l’odio che avevano per noi.
Giorno indimenticabile che resterà vivo in noi per tutta la vita e il ricordo per generazioni e generazioni, non si potrà mai scordare il sedici ottobre ed ogni volta che si ricorderà ci guarderemo attorno come per paura che dietro di noi ci sia un tedesco.
Prima non ci avevano detto nulla perché credevamo di non aver tempo ma poi il tempo l’ebbero ed allora…
Il 15 ottobre 1943 a notte si udirono i colpi di bombe a mano, traffiche di mitalia, vampate di fuoco, tutti credevamo suonasse l’allarme, nulla, verso l’una dopo la mezzanotte tutto tornò calmo. Stanchi della brutta nottata ci addormentammo subito. Fummo svegliati bruscamente dai gran colpi che venivano dati alla porta.
Guarda l’orologio, erano le cinque.
Chi sarà mai? Cosa sarà successo, si sentirà male qualcuno?
In un lampo fummo tutti in piedi, mamma andò ad aprire. Era zia Clelia che abitava al piano di sotto era tutta sconvolta e pallida con voce tremante ci disse: Ma come? Voi state tutti a letto, fuggite! Che si stanno prendendo tutti gli ebrei. Sentii il sangue gelarsi nelle vene e un brivido passarmi per tutta la vita. Ci precipitammo alla finestra e subito una scena straziante ci colpì. Una famiglia intera in mezzo a quattro tedeschi venivano portati via. I bambini piangevano i genitori cercavano di farli fuggire i tedeschi urlavano per farli camminare e se restavano addietro erano presi a calci.
Eravamo rimasti piedrificati alla finestra, ma cercando di dominarci ci vestimmo alla meglio per far fuggire gli uomini. Mamma uscì per prima, vedendo che giù al portone non vi era nessuno fece cenno a me di far uscire tutti due per volta. Cercavamo di essere più disinvolti che potevamo ma chi li avesse guardati avrebbe letto sul loro viso il terrore.
Tutte le vie di Portico D’Ottavia erano bloccate dai tedeschi in modo che per quelli che abitavano nel centro non vi era via di scampo. I nostri uomini con l’aiuto del Signore riuscirono a fuggire.
Noi credevamo che cercavano soltanto gli uomini così tutte le donne e i bambini restarono a casa. Quando i tedeschi bussavano per le case non trovando gli uomini si portarono via tutte le donne e bambini. Erano scene strazianti a vedersi, donne che urlavano, bambini che piangevano, tedeschi che urlavano per farli camminare prendendoli a calci, la gente, i cristiani li guardavano dicendo: poveretti! Povera gente, ma dove li porteranno? Ma nessuno faceva qualcosa per farli fuggire e per prendere qualche bambino. Si portavano via paralitici, vecchi moribondi, donne che erano a letto in stato interessante o che avevano appena dato alla luce un bambino, niente, non vi era pietà per nessuno li facevano vestire li caricavano sui camion come bestie e se li portavano via.
Nella nostra famiglia erano tutti salvi, ma dei nostri parenti non ne sapevamo nulla. Noi ci eravamo salvati per miracolo, perché, dopo aver fatto fuggire gli uomini mamma era tornata a casa dietro di se si era chiusa il portone. Ci preparammo a fuggire, avevamo preso della biancheria personale se non si poteva tornare a casa, quando da giù al portone, si udirono dei gran colpi. Restammo tutti senza fiato.
Io chiusi gli occhi e dissi [ill.] ma pensavo che non ci saremmo salvati. Piano piano eravamo scesi e mamma guardò dal buco della serratura, la vedemmo tirarsi addietro pallidissima. Fuori dal portone vi erano quattro tedeschi che volevano entrare per forza.
Per fortuna gli rispose la portiera del palazzo vicino: sono andati via non c’è più nessuno. Ritornare, noi ritornare, risposero i tedeschi e se ne andarono. Appena se ne furono andati mandammo un sospiro di sollievo eravamo salvi. >>

Testimonianza di Benedetto Vivanti in Marcello Pezzetti (a cura di), 16 ottobre 1943. La razzia, Roma, Gangemi, 2017.

“Alla fontana, quella grande, che sta a piazza delle Cinque Scole, venivano i camion, si fermavano là. Sparaveno, rivolverate… noi c’havevamo paura. Io abitavo a piazza Costaguti e la gente diceva: ‘fuggite, fuggite! I tedeschi vi prendono tutti!’
Quando abbiamo saputo che i tedeschi andavano a casa a prendere le famije, io e un altro amico mio, che abitavamo insieme, fuggivamo sui tetti. Furono presi e portati via mia madre, due sorelle e un nipotino. Mio padre fuggì via. Nun se sapeva, perché dicevano di prendere solamente gli uomini, per lavoro. Ecco cos’era. Ma prendevano tutti, tutti quanti. Dopo, finito, io scesi giù.”

Testimonianza di Marisa Camerini da Silvia Haia Antonucci, Claudio Procaccia, Gabriele Rigano, Giancarlo Spizzichino (a cura di), Roma, 16 ottobre 1943. Anatomia di una deportazione, Roma, Guerini e Associati, 2006.

“All’inizio il 16 ottobre per noi fu una giornata come tutte le altre. Però cambiò tutto quando mio padre, che andava in giro per lavoro, vide che a piazza Vittorio c’erano dei camion su cui caricavano delle persone, e gli dissero che erano ebrei. Telefonò subito a mamma e le disse: ‘Scappa, scappa, scappa, per carità!’ Mia madre era una donna molto pratica, fuggimmo senza prendere niente, ma mise in un pentolino pizzette di carne.”

Testimonianza di Giuliana Gay, da Silvia Haia Antonucci, Claudio Procaccia, Gabriele Rigano, Giancarlo Spizzichino (a cura di), Roma, 16 ottobre 1943. Anatomia di una deportazione, Roma, Guerini e Associati, 2006.

“Il 16 ottobre eravamo a casa [a via Arenula], verso l’alba sentimmo dei passi, il rumore forte che fanno gli scarponi sulla strada, e sentimmo anche il frastuono dei camion. Ci affacciammo alla finestra che dava sul giardinetto di piazza Cairoli, e vedemmo i camion sotto casa. L’ultimo camion verso ponte Garibaldi, stava già caricando delle persone che noi conoscevamo. Lì per lì non sapevamo cosa fare, ci vestimmo. Da casa mamma telefonò a una sua cugina che abitava in Prati vicino al cinema Adriano, Costanza Fornari sposata con Alfredo Citoni che l’unica della sua famiglia a essere rimasta a Roma, per raccontarle cosa stava succedendo al ghetto, e le disse: ‘Scappa da casa!’, ma sul momento lei non le volle credere. Dopo un po’ ci ripensò: ‘Ma se hanno telefonato, qualcosa è successo’, e per fortuna scappò, perché poi i nazisti arrivarono anche lì.”

Testimonianza di Milena Zarfati in Marcello Pezzetti (a cura di), 16 ottobre 1943. La razzia, Roma, Gangemi, 2017.

“E noi ci salvammo perché dove abitavo, a via degli Specchi, c’era uno scantinato, allora mio padre ci mise tutti lì dentro. Presero lui; però, mentre li mettevano in fila, lui passava sempre dietro, praticamente è stato sempre l’ultimo. Ad un momento i tedeschi si saranno voltati ed è riuscito a scappare. Mia sorella, incinta, con mia nipote sono state prese e non fecero più ritorno.”

Da Giacomo Debenedetti, 16 ottobre 1943, Torino, Einaudi, 2001.

“Le file vengono spinte verso la goffa palazzina delle Antichità e Belle Arti, che sorge al gomito del Portico d’Ottavia di fronte a via Catalana, tra la Chiesa di Sant’Angelo e il Teatro di Marcello. Ai piedi della palazzina si stende una breve area di scavi, ingombra di ruderi, qualche metro più bassa che la strada. Entro questa fossa venivano raccolti gli ebrei, e messi in riga ad aspettare il ritorno dei tre o quattro camion, che facevano la spola tra il Ghetto e il luogo dove era stata stabilita la prima tappa.”

Testimonianza di Gabriella Ajò, da Silvia Haia Antonucci, Claudio Procaccia, Gabriele Rigano, Giancarlo Spizzichino (a cura di), Roma, 16 ottobre 1943. Anatomia di una deportazione, Roma, Guerini e Associati, 2006.

“Abitavo a via Portico d’Ottavia n.9 insieme alla mia famiglia e non ci siamo mossi di lì […].
Ricordo che una signora che si era affacciata dalla cucina per chiamare la figlia che abitava con la suocera al piano di sotto al suo, e strillava: ‘Rina, Rina.’ Lei era già scappata di casa, e aveva ancora in mano il biberon per dare il latte alla figlia e, sentendosi chiamare, voleva ritornare dalla madre, ma qualcuno la fermò e le disse: ‘Ma ‘ndo via?’, e così riuscì a salvarsi insieme alla bambina. E’ stata una giornata atroce.”

Testimonianza di Leone Sabatello, da Silvia Haia Antonucci, Claudio Procaccia, Gabriele Rigano, Giancarlo Spizzichino (a cura di), Roma, 16 ottobre 1943. Anatomia di una deportazione, Roma, Guerini e Associati, 2006.

“Abitavamo a via Portico d’Ottavia 9 […]. Il 16 ottobre pioveva, stavo dormendo, verso le 5,30 o le 6, mio padre sente dei rumori, si affaccia dalla finestra e vede una squadra di soldati e alcune famiglie che uscivano con le valigie e venivano raggruppate in quella che oggi è piazza 16 Ottobre. Anche io sono stato portato lì. I nazisti sono entrati dentro casa mia, avevano un foglio con l’elenco dei nomi. Cercavano anche mio fratello, ma lui era a Ciampino. I nazisti ci dissero che dovevamo fare un lungo viaggio e quindi dovevamo portarci dei viveri. Ci siamo vestiti e siamo scesi. Ci hanno caricati sui camion e ci hanno portati al Collegio Militare, dove qualcuno ha anche provato a farci convertire.”

Da Giacomo Debenedetti, 16 ottobre 1943, Torino, Einaudi, 2001.

“Un giovanotto si stacca dalla fila: ha ottenuto di andare a prendere un caffè, sotto la sorveglianza di una SS, che però non accetterà di ‘tenergli compagnia’. Deglutisce rumorosamente, la tazzina gli trema nelle mani, e anche le gambe gli ballano sotto. Gira gli occhi smarriti verso i tavolini, dove si è seduto a giocare a carte nelle sere che avevano ancora un indomani. Con una specie di sorriso timido e stanco, domanda al caffettiere:
‘Che faranno di noi?’”

Da Giacomo Debenedetti, 16 ottobre 1943, Torino, Einaudi, 2001.

“Pare che il primo allarme l’abbia dato una donna di nome Letizia: una grossa ragazza attempata, tutta tumida di tratti e di forme, con gli occhi fissi e i labbroni di fuori, che le immobilizzano sulla faccia un sorriso inerte e senza comunicativa. Dal quale esce una voce assente, contrariata, estranea a ciò che dice. Verso le 5, costei fu udita gridare:
‘Oh Dio, i mammoni’
‘Mammoni’ in gergo giudìo-romanesco significa gli sbirri, le guardie, la forza pubblica. Erano infatti i tedeschi che, col loro passo pesante e cadenzato (conosciamo persone per cui questo passo è rimasto il simbolo, lo spaventoso equivalente auditivo del terrore tedesco), cominciavano a bloccare le strade e case del Ghetto.”

Testimonianza di Speranza Ajò, da Silvia Haia Antonucci, Claudio Procaccia, Gabriele Rigano, Giancarlo Spizzichino (a cura di), Roma, 16 ottobre 1943. Anatomia di una deportazione, Roma, Guerini e Associati, 2006.

“Abitavo vicino alla Piramide Cestia in via Bartolomeo Bassi e non mi sono mossa da lì fino al 16 ottobre 1943. […]
Il 16 ottobre mattina, verso le 7, mio marito Corrado, era uscito per andare a lavorare con il carrettino. Mia suocera era stata avvertita dalla figlia, quella grande, Celeste, che le aveva detto: ‘Mamma, guarda che stanno a portà via un sacco di giovanotti.’ Non le aveva detto della retata, e che in realtà portavano via tutti. Allora mia suocera, che abitava a Testaccio, viene da me e mi dice: ‘Dimmi Sperà, è uscito Corrado?’, le rispondo di sì, e allora si era tranquillizzata perché ero rimasta a casa solo io con le creature, mio marito era già uscito, e pensava che non corressimo pericolo. In questo frattempo scende la portiera che puliva le scale e mi chiede che cosa stava succedendo. Le ho risposto: ‘Signora Marì, è arrivata adesso mia suocera e mi ha detto che stanno a prende i giovanotti’. Lei ha detto: ‘Sinora mia, io adesso vado a comprà il pane e le faccio sapere qualcosa.’ Lei, appena esce, all’angolo vede che portano via una vecchia con la bambina, di corsa rientra dentro al portone e mi dice: ‘Esca, esca, esca!’. Metto di corsa il cappottino a Peppino, che aveva 4 anni, un asciugamano a Luciano, che aveva 3 mesi,e io faccio appena in tempo ad abbottonarmi una camicetta; usciamo e passiamo dalla parte opposta rispetto a dove era il camion dei nazisti, verso la stazione Ostiense.”

Testimonianza di Mario Limentani in Marcello Pezzetti (a cura di), 16 ottobre 1943. La razzia, Roma, Gangemi, 2017.

“Io abitavo proprio a Reginella. Alle cinque de matina abbiamo sentito un trambusto, abbiamo guardato, vedevamo tutti i tedeschi che entravano nelle case. Allora, per fortuna, dove abitavo io, nella cucina c’era un terrazzo co una specie di cunicolo che dava sotto, al magazzino. E allora noi omini ce siamo gettati giù. Credevamo che venissero per portarci a lavorà. Però, dopo pochi minuti, le donne, guardando dalle finestre, hanno visto che portavano via i bambini, i vecchi, tutti quanti. Hanno cominciato a strillare, tutto il palazzo nostro strillava. Allora io sò risalito co mio fratello da mia cognata. Ho preso tre bambini che erano suoi e le ho fatto: ‘scendiamo! Vieni con me’ Ma lei: ‘No. Vai avanti che aspetto papà e mamma!’ C’aveva il padre e la madre che erano anziani e ‘na sorella. Mentre io stavo aggrappato a la ringhiera de la finestra sentivo che buttaveno giù la porta. Le ultime sue parole: ‘Vai via! Nun ce posso fa in tempo io… Dio provvederà!’ Mentre me buttavo giù, hanno spalancato la porta, hanno preso tutti quanti e l’hanno portati via. Son rimasto quattro, cinque ore al sottosuolo e vedevamo sopra le SS che camminavano e portavano via ‘sta gente.”

Testimonianza di Settimia Spizzichino da Settimia Spizzichino, Isa Nepi Olper, Gli anni rubati. Le memorie di Settimia Spizzichino, reduce dai Lager di Auschwitz e Bergen-Belsen, Cava De’ Tirreni, Comune di Cava De’ Tirreni, 1996.

“Sentimmo passare dei camion e poi dei passi pesanti, passi militari.
Pensammo a delle esercitazioni. Non sapevamo che stavano circondando il Ghetto.
All’improvviso la piazza esplose. Sentimmo ordini in tedesco, grida, imprecazioni.
Ci affacciammo alla finestra. Vedemmo i soldati tedeschi che spingevano la gente fuori dalle case e l’avviavano in lunghe file verso il Portico d’Ottavia.
‘Prendono gli ebrei!’ – sussurrò mio padre. Scappare non si poteva, i tedeschi stavano arrivando in direzione della nostra casa. Allora papà ci fece entrare in una stanzetta e accostò la porta, ordinandoci di stare nel silenzio più assoluto; poi andò ad aprire la porta di casa lasciandola spalancata. ‘Penseranno che siamo scappati” – disse piano – tornando.
Forse ce l’avremmo fatta. Ma Giuditta perse la testa quando udì i passi dei tedeschi per le scale. Scappò via, si diresse verso i soldati. Se li trovò davanti, si voltò verso di noi. Così ce li portò lì, dove stavamo nascosti.
Ci fecero uscire dalla stanza, ci dettero un biglietto di istruzioni: avevamo venti minuti per prepararci e prendere con noi oro, gioielli e cibo per otto giorni di viaggio.”

Da Giacomo Debenedetti, 16 ottobre 1943, Torino, Einaudi, 2001.

“Dalla via del Portico d’Ottavia giungono lamenti mischiati con grida. La signora S. si affaccia dall’angolo di via Sant’Ambrogio col Portico. Com’è vero che prendono tutti, ma proprio tutti, peggio di quanto si potesse immaginare. Nel mezzo della via passano, in fila indiana un po’ sconnessa, le famiglie rastrellate: una SS in testa e una in coda sorvegliano i piccoli manipoli, li tengono suppergiù incolonnati, li spingono avanti col calcio dei mitragliatori, quantunque nessuno opponga altra resistenza che il pianto, i gemiti, le richieste di pietà, le smarrite interrogazioni.”

Testimonianza di Alberto Sed da Silvia Haia Antonucci, Claudio Procaccia, Gabriele Rigano, Giancarlo Spizzichino (a cura di), Roma, 16 ottobre 1943. Anatomia di una deportazione, Roma, Guerini e Associati, 2006.

“Abitavo in via Sant’Angelo in Pescheria n.28, alle spalle di Portico d’Ottavia. […] Il 16 ottobre stavo a casa, abbiamo sentito gridare: ‘Guarda che stanno a prende tutti gli ebrei, non solo gli uomini, pure i ragazzini, i bambini’. Davanti a casa nostra c’era un terrazzo che dava sul palazzo di fronte, da lì venivano le grida. Mamma prese del pane tostato – si tostava proprio perché così durava di più – siamo scappati da dietro e non abbiamo trovato sbarramenti dei nazisti.”

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Testimonianze tratte dal documentario "La Razzia. Roma, 16 ottobre 1943", di Ruggero Gabbai

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Video testimonianza di Lorella Zarfati, familiare di vittime della razzia

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Testimonianza di Emanuele Di Porto, testimone della razzia.

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Video testimonianza di Emilia Efrati, testimone della persecuzione antiebraica.

Adolfo Di Veroli (1935-1943). Il bambino sofferente per un'incisione alla natica, medicato nel Collegio militare dal dott. Serafino Santomauro il 17 ottobre.

Archivio privato Renato di Veroli

Adolfo Di Veroli (1935-1943). Il bambino sofferente per un'incisione alla natica, medicato nel Collegio militare dal dott. Serafino Santomauro il 17 ottobre.

Archivio privato Renato di Veroli

Marcella Perugia (1920-1943). Il 17 ottobre del 1943, all'interno del Collegio militare, Marcella dà alla luce un bambino che sarà ucciso insieme a lei a Birkenau il successivo 23 ottobre.

Archivio privato Alberto Di Consiglio

Marcella Perugia (1920-1943). Il 17 ottobre del 1943, all'interno del Collegio militare, Marcella dà alla luce un bambino che sarà ucciso insieme a lei a Birkenau il successivo 23 ottobre.

Archivio privato Alberto Di Consiglio

Il cortile del Collegio militare, nella sede di Palazzo Salviati, accoglie i suoi allievi durante una cerimonia militare (1930).

Archivio fotografico Istituto Luce A00021517

Il cortile del Collegio militare, nella sede di Palazzo Salviati, accoglie i suoi allievi durante una cerimonia militare (1930).

Archivio fotografico Istituto Luce A00021517

Allievi del Collegio militare nel cortile della sede di Palazzo Salviati su Via della Lungara (1942).

Archivio fotografico Istituto Luce A00140537

Allievi del Collegio militare nel cortile della loro sede di Palazzo Salviati su via della Lungara (1942).

Archivio fotografico Istituto Luce A00140537

Palazzo Salviati, oggi.

Archivio fotografico Istituto Luce

Palazzo Salviati, oggi.

Archivio fotografico Istituto Luce

Il dottor Serafino Santomauro attesta di aver medicato, il giorno 17 ottobre 1943, all'interno del Collegio militare, un bambino di nove anni, Adolfo Di Veroli (1935-1943), sofferente per un'incisione alla natica. Il dottore dichiara anche di aver assistito una donna partoriente. Si tratta di Marcella Perugia (1920-1943), che morirà nelle camere a gas di Birkenau insieme a suo figlio, rimasto senza nome.

Archivio privato Renato di Veroli

Il dottor Serafino Santomauro attesta di aver medicato, il giorno 17 ottobre 1943, all'interno del Collegio militare, un bambino di nove anni, Adolfo Di Veroli (1935-1943), sofferente per un'incisione alla natica. Il dottore dichiara anche di aver assistito una donna partoriente. Si tratta di Marcella Perugia (1920-1943), che morirà nelle camere a gas di Birkenau insieme a suo figlio, rimasto senza nome.

Archivio privato Renato di Veroli

Biglietto scritto da Silvia Sermoneta (1897-1943) durante la permanenza al Collegio militare: "Prego chi avrà in mano questo biglietto di recapitarlo subito che [è] un caso pietoso per un malato grave". Il riferimento è al marito Lello di Nepi (1882-1943), che infatti morirà durante il tragitto in treno. Segue una lista di oggetti necessari per affrontare la deportazione: "Dobbiamo fare un lungo viaggio e abbiamo bisogno urgente. Se Lei non mi aiuta si muore in viaggio".

Archivio privato Manoela Pavoncello

Biglietto scritto da Silvia Sermoneta (1897-1943) durante la permanenza al Collegio Militare: "Prego chi avrà in mano questo biglietto di recapitarlo subito che [è] un caso pietoso per un malato grave". Il riferimento è al marito Lello di Nepi (1882-1943), che infatti morirà durante il tragitto in treno. Segue una lista di oggetti necessari per affrontare la deportazione: "Dobbiamo fare un lungo viaggio e abbiamo bisogno urgente. Se Lei non mi aiuta si muore in viaggio".

Archivio privato Manoela Pavoncello

17 Ottobre 1943: telegramma di von Weizsäcker, ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, al Ministero degli Esteri del Reich sulla reazione del Vaticano alla razzia degli ebrei. L’ambasciatore non fa menzione dell’incontro avuto con il cardinal Maglione, il quale gli ha prospettato l’eventualità di una protesta ufficiale del Papa. “Posso confermare la reazione del Vaticano di fronte alla deportazione degli ebrei da Roma, come vi ha riferito mons. Hudal. La curia è particolarmente colpita dal fatto che la vicenda si sia svolta, per così dire, sotto le finestre del Papa. La reazione potrebbe essere attenuata se gli ebrei fossero utilizzati per il lavoro coatto in Italia. Gli ambienti ostili di Roma colgono l’occasione per costringere il Vaticano a uscire dal suo riserbo. Si afferma che nelle città francesi dove sono accaduti fatti analoghi i vescovi abbiano preso apertamente posizione. E il Papa, come capo supremo della Chiesa e vescovo di Roma, non potrebbe fare di meno. Si è cominciato a paragonare il Papa attuale con il ben più energico Pio XI. La propaganda dei nostri nemici all’estero coglierà certamente questa occasione per provocare tensioni fra la curia e noi.”

Politisches Archiv des Auswärtigen Amts, Berlin

Archivio fotografico Istituto Luce

Palazzo Salviati, oggi.

Archivio fotografico Istituto Luce

Il 28 Ottobre 1943, l’ambasciatore von Weizsäcker comunica al Ministero degli Esteri a Berlino che il Papa non ha preso apertamente posizione sulla deportazione degli ebrei: “Il Papa non si è lasciato convincere a rilasciare alcuna dichiarazione pubblica contro la deportazione degli ebrei da Roma, sebbene sembri aver subito pressioni da più parti. Nonostante egli si renda conto che tale atteggiamento gli verrà rimproverato dai nostri nemici e dai circoli protestanti nei paesi anglosassoni con intenti di propaganda anticattolica, in questa delicata questione egli si è prodigato per non compromettere i rapporti con il governo del Reich e le autorità tedesche a Roma. Dato che non si dovrebbero più prendere altre misure contro gli ebrei qui a Roma, possiamo considerare liquidata questa questione spiacevole nel quadro dei rapporti tedesco vaticani. In questo senso, da parte vaticana è stato dato un chiaro segnale. L’Osservatore Romano del 25/26 Ottobre ha pubblicato, ben in rilievo, un comunicato ufficioso sull’attività caritatevole del Papa, in cui possiamo leggere nello stile ornato e criptico del Vaticano che la sollecitudine paterna del Papa si estende a tutti gli uomini quale che sia la loro nazionalità, religione e razza. L’instancabile e molteplice attività di Pio XII si è intensificata in questi ultimi tempi in seguito alle accresciute sofferenze di tanti sventurati. Credo che non sia necessario protestare contro questa pubblicazione, in quanto il testo, di cui vi allego la traduzione, sarà interpretato solo da un esiguo numero di persone come un riferimento diretto alla questione ebraica.”

Politisches Archiv des Auswärtigen Amts, Berlin

Archivio fotografico Istituto Luce

Palazzo Salviati, oggi.

Archivio fotografico Istituto Luce

Testimonianza di Settimia Spizzichino, in Settimia Spizzichino, Isa di Nepi Olper, Gli anni rubati. Le memorie di Settimia Spizzichino, reduce dai Lager di Auschwitz e Bergen – Belsen, Comune di Cava de’Tirreni, 1996.

“Ma il Camion non si fermò al carcere di Regina Coeli. Andò avanti, fino al Collegio Militare. Ci portarono in una grande aula. Restammo lì per ore. Che cosa mi passava per la testa in quei momenti non riseco a ricordarlo con precisione; che cosa pensassero i miei compagni di sventura emergeva dalle loro confuse domande, spiegazioni, preghiere. Ci avrebbero portati a lavorare? E dove? Ci avrebbero internati in un campo di concentramento?…”
“Ci chiamarono ad uno ad uno per registrarci e ci imposero di consegnare oro e soldi. Noi non avevamo niente, quel poco che era rimasto stava nascosto a casa, in un bottiglione. Molti consegnarono tutto, alcuni cercarono invano di nascondere qualche cosa…”

Da G. Debenedetti, 16 ottobre 1943, Torino, Einaudi, 2001.

“Gli ebrei furono ammassati nel Collegio Militare. I camion entravano, andavano a fermarsi davanti al porticato di fondo. Le operazioni di scarico si svolgevano con la stessa ruvidezza e sommarietà con cui erano avvenute quelle di carico. I nuovi arrivati erano fatti schierare per tre, a qualche distanza da gruppi consimili, che già stazionavano sotto la sorveglianza di numerose sentinelle tedesche armate fino ai denti”

Testimonianza di Armino Wachsberger, in Arminio Wachsberger, L’interprete. Dalle leggi razziali alla Shoah, storia di un italiano sopravvissuto alla bufera, a cura di Clara e Silvia Wachsberger, Milano, Proedi, 2010.

“Le SS giravano per il cortile imbracciando le armi e sbraitando ordini in tedesco, chi non li comprendeva veniva immediatamente colpito dai calci dei loro fucili. Non ne potevo più di quella violenza gratuita, così mi rivolsi a quello che intuii potesse essere il comandante di quella operazione. Era un giovane capitano, si chiamava Theo Dannecker. […] Gli parlai in tedesco e gli dissi che gli avrei fatto volentieri da interprete…”

“Ci sistemarono a gruppi nelle varie aule del Collegio Militare. A pomeriggio inoltrato arrivò l’ordine che stabiliva che ci sarebbe stata una particolare selezione per liberare le persone di origine cattolica finite lì per errore nonché i figli di matrimonio misto. Dannecker mi chiamò, mi fece salire sopra un tavolo insieme a lui, io dovetti tradurre le sue parole: ‘Chi non è ebreo, si metta in fila qui; se trovo un ebreo che ha il coraggio di dichiarare di non esserlo, nello stesso momento in cui scopro la menzogna il mentitore sarà eliminato. E noi tedeschi non abbiamo l’abitudine di scherzare.”

“C’erano anche due donne che mi dissero di essere appena scappate con i loro familiari da Ferrara: Bianca Ravenna Levi e sua figlia Piera. Avevano raggiunto dei parenti a Roma, convinte che questa città fosse più sicura, come molti al nord: tutti pensavano che gli Alleati sarebbero arrivati ben presto a proteggerli. Erano chiaramente molto a rischio per quanto riguardava la carta d’identità, […] Con loro c’era anche la sorella di Bianca, Alba, arrestata con il marito e il figlio. Quando sentì della selezione dei mezzi ebrei, spinse avanti la sorella e la nipote, che approfittassero di quel non essere negli elenchi degli ebrei romani. Con questo gesto riuscì a salvarle, mentre lei e la sua famiglia non tornarono.”

“In totale furono liberate 252 persone. Ricordo invece il coraggio di una donna italiana, non ebrea, infermiera di un giovane ebreo epilettico, che non volle separarsi da lui e che quindi seguì la nostra stessa sorte. Non tornò.”

Testimonianza di Settimia Spizzichino, in Settimia Spizzichino, Isa di Nepi Olper, Gli anni rubati. Le memorie di Settimia Spizzichino, reduce dai Lager di Auschwitz e Bergen – Belsen, Comune di Cava de’Tirreni, 1996.

“Restammo al Collegio Militare per due giorni, sempre su quelle panche, mangiando quel poco che ci eravamo portati da casa. Poi, un mattino ci caricarono di nuovo sui camion grigi. I camion si mossero. Qualcuno gettò fuori dei biglietti che avevano scritto per avvertire i familiari. Era un grosso rischio, ma so che alcuni di quei biglietti furono recapitati. Ci fecero scendere alla stazione Tiburtina.”

Testimonianza di Armino Wachsberger, in Arminio Wachsberger, L’interprete. Dalle leggi razziali alla Shoah, storia di un italiano sopravvissuto alla bufera, a cura di Clara e Silvia Wachsberger, Milano, Proedi, 2010.

“Restammo lì il 16 e il 17 ottobre, in condizioni tremende. Le persone erano in prevalenza donne, bambini, malati, anziani. Ricordo che una giovane, Marcella Perugia, partorì un maschietto. Dormivano tutti per terra, in attesa dell’ordine per la partenza.”

Testimonianza di Iris Origo, da Iris Origo, Guerra in Val D’orcia, Chianciano Terme, Biblos, 2014.

E il 16 ottobre c’è stata la “razzia” degli ebrei di Roma, […] A Chiusi è stato scaricato il cadavere d’un vecchio deceduto durante il viaggio.

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Video testimonianze di Settimia Spizzichino e Arminio Wachsberger, tratte dal documentario

"La Razzia. Roma, 16 ottobre 1943", di Ruggero Gabbai

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Video testimonianza di Guidobaldo Passigli, testimone della persecuzione antiebraica.

La stazione Tiburtina di Roma agli inizi del Novecento. Il 18 ottobre 1943 parte da qui il treno per Auschwitz-Birkenau con gli ebrei rastrellati due giorni prima.

Archivio fotografico Ferrovie dello Stato

La stazione Tiburtina di Roma agli inizi del Novecento. Il 18 ottobre 1943 parte da qui il treno per Auschwitz-Birkenau con gli ebrei rastrellati due giorni prima.

Archivio fotografico Ferrovie dello Stato

Roma, 18 ottobre 1943, stazione Tiburtina. Amedeo Tagliacozzo (1898-1944), deportato con la madre Eleonora e la nipotina Ada, lancia del treno un biglietto con scritto: "Tutti e tre bene in partenza oggi da Roma. Avvertire portiere Roma via Salaria n. 174. Che avverta. Grazie. Amedeo". Non faranno ritorno.

Archivio personale Lello Dell'Ariccia

Amedeo Tagliacozzo

Archivio personale di Fernando Tagliacozzo

"Bigliettino di Amedeo Tagliacozzo lanciato dal treno prima della partenza per Auschwitz. Tagliacozzo cerca di dare notizie di sé, della mamma e della nipotina al resto della famiglia. Nessuno di loro farà ritorno. “Roma 18-10-43. Tutti e tre bene in partenza oggi da Roma. Avvertite portiere Roma via Salaria n. 174. Che avverta. Grazie. Amedeo”.

Archivio personale Lello Dell’Ariccia

Il 18 ottobre 1943 la Questura di Roma informa il Ministero dell'Interno della partenza dalla stazione Tiburtina del treno contenente circa mille persone tra uomini, donne e bambini. Il fonogramma segnala che "non è avvenuto nessun incidente".

Archivio Centrale dello Stato

Il 18 ottobre 1943 la Questura di Roma informa il Ministero dell'Interno della partenza dalla stazione Tiburtina del treno contenente circa mille persone tra uomini, donne e bambini. Il fonogramma segnala che "non è avvenuto nessun incidente".

Archivio Centrale dello Stato

Telegramma, intercettato dagli Alleati, spedito da Dannecker all'ufficio Affari ebraici (IV B4) del RSHA di Berlino: "Al momento un unico treno merci ha lasciato Roma il 18.10.43, ore 19.00. Trasporta 1007 ebrei. Il trasporto è accompagnato da 20 uomini (più un capo trasporto). Responsabile del trasporto l'SS. Oberschaführer Arndze [?] […]".

The National Archives, Kew, London

Telegramma, intercettato dagli Alleati, spedito da Dannecker all'ufficio Affari ebraici (IV B4) del RSHA di Berlino: "Al momento un unico treno merci ha lasciato Roma il 18.10.43, ore 19.00. Trasporta 1007 ebrei. Il trasporto è accompagnato da 20 uomini (più un capo trasporto). Responsabile del trasporto l'SS. Oberschaführer Arndze [?] […]".

The National Archives, Kew, London

Biglietto lanciato dal treno in partenza dalla stazione Tiburtina da Lionello Alatri, vicepresidente dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane. Alatri cerca di inviare alcune informazioni ai suoi cari e ai parenti di altre persone che si trovano nel suo stesso vagone. Scrive anche di essere seriamente preoccupato per le condizioni di salute del suocero, Eugenio Elia Chimichi. Lionello Alatri proviene da una famiglia molto nota in città: il nonno Samuele Alatri era stato eletto deputato alla Camera alla prima legislatura del Regno. Lionello, direttore di un'importante fabbrica di tessuti all’ingrosso, era stato prima membro, poi commissario e presidente del sindacato fascista dei prodotti tessili. Fu anche reggente della Banca d’Italia, consigliere disconto del Banco di Napoli, del Banco di Sicilia, della Banca di Novara e consigliere della magistratura del lavoro. Questo biglietto rappresenta l’ultimo contatto con la sua famiglia. Verrà ucciso al suo arrivo ad Auschwitz.

Archivio personale Marcello e Sandra Alatri

Biglietto lanciato dal treno in partenza dalla stazione Tiburtina da Lionello Alatri, vicepresidente dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane. Alatri cerca di inviare alcune informazioni ai suoi cari e ai parenti di altre persone che si trovano nel suo stesso vagone. Scrive anche di essere seriamente preoccupato per le condizioni di salute del suocero, Eugenio Elia Chimichi. Lionello Alatri proviene da una famiglia molto nota in città: il nonno Samuele Alatri era stato eletto deputato alla Camera alla prima legislatura del Regno. Lionello, direttore di un'importante fabbrica di tessuti all’ingrosso, era stato prima membro, poi commissario e presidente del sindacato fascista dei prodotti tessili. Fu anche reggente della Banca d’Italia, consigliere disconto del Banco di Napoli, del Banco di Sicilia, della Banca di Novara e consigliere della magistratura del lavoro. Questo biglietto rappresenta l’ultimo contatto con la sua famiglia. Verrà ucciso al suo arrivo ad Auschwitz.

Archivio personale Marcello e Sandra Alatri

Biglietto lanciato il 18 ottobre 1943 dal treno diretto ad Auschwitz. Il testo riporta: "Avvertire a Roma. Negozio via Nazionale che la moglie e la madre stanno insieme, case di Mieli e Di Cave. Saluti". Un cittadino di Padova, Gino Giocondi, lo spedisce a Roma.

Archivio CDEC, Fondo Vicissitudini dei Singoli, b. 17, fasc. 517, "Eva Sornaga"

Padova, 18 ottobre 1943. Un bambino lancia questo biglietto dal treno diretto ad Auschwitz. Un cittadino di Padova, Gino Giocondi, lo spedisce a Roma.

Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, Milano

Testimonianza di Settimia Spizzichino, in Settimia Spizzichino, Isa di Nepi Olper, Gli anni rubati. Le memorie di Settimia Spizzichino, reduce dai Lager di Auschwitz e Bergen – Belsen, Comune di Cava de’Tirreni, 1996.

“Ci fecero scendere alla Stazione Tiburtina. Fummo spinti su un treno che sostava su un binario morto; ci caricarono sui carri bestiame. E quando fummo saliti li chiusero e li piombarono […]. A sera il convoglio si mosse. Per dove non sapevamo. Verso il Nord, ci faceva pensare il nome delle stazioni che si riusciva a intravedere dalle fessure. Eravamo una cinquantina nel vagone, stipati uno contro l’altro. Qualcuno aveva fatto un buco nel pavimento per i propri bisogni. Un viaggio interminabile, sempre chiusi lì dentro, tranne quando il treno si fermava in aperta campagna e ci facevano scendere per i bisogni più urgenti; qualche volta riuscivamo anche a bere, sempre guardati a vista. Di mangiare non se ne parlava, dopo che avevamo consumato quello che avevamo portati. 

A Padova la Crocerossa bloccò il treno e ci fu portata una scodella di minestra. […] Ma stavo guardando da una fessura, e vidi portare a terra un corpo; il cadavere di un uomo, il primo. […] Molti altri morirono su quel treno e rimasero lì fino all’arrivo. Mi sentivo male, e non era soltanto l’emozione o la paura; avevo forti dolori al ventre. «Non ti preoccupare – diceva mia madre – appena arriviamo ti porto da un dottore». Un dottore… come poteva sapere mia madre cos’è un dottore in un Lager? Come poteva prevedere quello che si aspettava?

[…] Il sesto giorno di viaggio all’alba il treno si fermò. In aperta campagna: un binario e basta, non si vedeva altro. Solo, lontano, un fabbricato e tutto attorno, per chilometri, filo spinato. Non sapevamo che era percorso dalla corrente elettrica ad alto voltaggio. L’avremmo imparato.”

Da G. Debenedetti, 16 ottobre 1943, Torino, Einaudi, 2001.

“Verso l’alba del lunedì, i razziati furono messi su autofurgoni e condotti alla stazione di Roma-Tiburtino, dove li stivarono su carri bestiame, che per tutta la mattina rimasero su un binario morto. Una ventina di tedeschi armati impedivano a chiunque di avvicinarsi al convoglio.
Alle ore 13.30 fu dato in consegna al macchinista Quirino Zazza, costui apprese quasi subito che nei carri bestiami «erano racchiusi» – così si esprime una sua relazione – «numerosi borghesi promiscui per sesso e per età, che poi gli risultarono appartenere a razza ebraica».
Il treno si mosse alle 14.00. Una giovane che veniva da Milano per raggiungere i suoi parenti a Roma racconta che a Fara Sabina (ma più probabilmente a Orte) incrociò il «treno piombato» da cui uscivano voci di purgatorio. Di là dalla grata di uno dei carri, le parve di riconoscere il viso di una bambina sua parente. Tentò di chiamarla, ma un altro viso si avvicinò alla grata, e le accennò di tacere. Questo invito al silenzio, a non tentare più di rimetterli nel consorzio umano, è l’ultima parola, l’ultimo segno di vita che ci sia giunto da loro. Nei pressi di Orte, il treno trovò un semaforo chiuso e dovette fermarsi per una decina di minuti. «A richiesta dei viaggiatori invagonati» – è ancora il macchinista che parla – alcuni carri furono sbloccati perché «chi ne avesse bisogno fosse andato per le funzioni corporali». Si verificarono alcuni tentativi di fuga, subito repressi con una nutrita sparatoria. A Chiusi altra breve fermata per scaricare il cadavere di una vecchia, deceduta durante il viaggio. A Firenze il signor Zazza smonta, senza essere riuscito a parlare con nessuno di coloro a cui aveva fatto percorrere la prima tappa verso la deportazione. Cambiato il personale di servizio, il treno proseguì per Bologna. Né il Vaticano, né la Croce Rossa, né la Svizzera né altri Stati neutrali sono riusciti ad avere notizie dei deportati. Si calcola che solo quelli del 16 ottobre ammontino a più di mille, ma certamente la cifra è inferiore al vero perché molte famiglie furono portate via al completo, senza che lasciassero traccia di sé, ne parenti o amici che potessero segnalare la scomparsa.”

Testimonianza di Armino Wachsberger, in Arminio Wachsberger, L’interprete. Dalle leggi razziali alla Shoah, storia di un italiano sopravvissuto alla bufera, a cura di Clara e Silvia Wachsberger, Milano, Proedi, 2010.

“Il 18 ottobre, un lunedì, ci svegliarono prima dell’alba e ci diedero l’ordine di radunarci con tutte le nostre cose. Gli stessi camion neri che ci avevano trasferito lì al Collegio Militare, erano pronti in cortile per accoglierci nuovamente. I convogli attraversarono tutta Roma ancora deserta a causa del coprifuoco, poi percorsero la via Tiburtina arrivando all’omonima stazione ferroviaria. Non si fermarono alla stazione passeggeri però, si spinsero più in là, dove si trovava lo scalo nel quale venivano caricati il bestiame le merci. Scendemmo dai camion e ci trovammo quasi al centro degli scali, in una zona evidentemente ben lontana dalla vista degli altri passeggeri, quelli “normali”. Fermo sui binari si vedeva un lungo treno merci di colore rossiccio, con le porte scorrevoli spalancate che lasciavano intravedere l’interno quasi completamente buio. Era composto da circa una ventina di vagoni. La sola idea di entrare lì era per noi ripugnante e umiliante al tempo stesso. Le SS costrinsero tutti i prigionieri a salire sui vagoni bestiame, fino a riempirli all’inverosimile. Appena un vagone era stracarico di passeggeri, i soldati facevano scorrere le porte e lo chiudevano con una sbarra di ferro che lo sigillava all’esterno. Io rimasi fuori sino a operazione terminata perché dovevo tradurre gli ordini delle SS, poi salii sull’ultimo vagone con la mia famiglia…”

“Il 20 ottobre il treno raggiunse il passo del Brennero e si fermò alla frontiera. Il personale italiano abbandonò il convoglio e fu sostituito da quello tedesco. I carri bestiame furono aperti. Eravamo ormai ridotti allo stremo, senza più forze, immobili, infreddoliti dagli abiti troppo leggeri per quell’altitudine…”

“La sera del terzo giorno il convoglio si fermò a Furth Im Wald, in Baviera. Alcune Crocerossine tedesche salirono sul treno, portando un po’ di minestra d’orzo a noi prigionieri ormai ridotti in condizioni pietose…”

“I vagoni furono aperti e ci fecero scendere. Vidi un cartello in tedesco che indicava una latrina per prigionieri di guerra russi. Fummo sollecitati ad usarla, e con l’occasione tentammo a fatica di fare un po’ di pulizia nei vagoni, anche se avevamo il divieto assoluto di toccare i cadaveri, ormai sempre più numerosi. Qualche ora dopo riprendemmo il viaggio. Eravamo ridotti come larve, anche la speranza, l’ultima a morire, stava svanendo, il treno ormai proseguiva avvolto in un inquietante silenzio.”

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Video testimonianze di Sabatino Finzi e Settimia Spizzichino, tratte dal documentario

"La Razzia. Roma, 16 ottobre 1943", di Ruggero Gabbai

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Video testimonianze di Arminio Wachsberger e Settimia Spizzichino, tratte dal documentario

"La Razzia. Roma, 16 ottobre 1943", di Ruggero Gabbai

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Video testimonianze di Sabatino Finzi, Leone Sabatello, Arminio Wachsberger, Settimia Spizzichino e Lello Di Segni, tratte dal documentario

"La Razzia. Roma, 16 ottobre 1943", di Ruggero Gabbai

Settimia Spizzichino

Fondazione Museo della Shoah, Roma Fondo David Calò

SETTIMIA SPIZZICHINO

Nasce il 15 aprile del 1921 ed è la quarta di sei figli. In un primo tempo la famiglia vive a Tivoli dove il padre, Marco Mosè Spizzichino, è commerciante. Dopo la promulgazione delle leggi antiebraiche, persa la licenza del negozio, la famiglia decide di trasferirsi a Roma, presso le figlie Ada e Gentile ormai sposate.
Il 16 ottobre i nazisti irrompono nell’appartamento di via della Reginella 2, dove gli Spizzichino risiedono. Con la prontezza che la contraddistingue, Settimia riesce a salvare la sorella Gentile e i suoi tre figli dichiarandoli non ebrei. Lei però viene deportata con la madre Grazia Di Segni, le sorelle Giuditta e Ada, la nipotina Rosanna di solo 18 mesi.
All’arrivo a Birkenau solo Settimia e Giuditta superano la selezione, mentre le altre vengono mandate alle camere a gas. Giuditta, purtroppo, non sopravvive al lavoro schiavile.
Settimia, immatricolata con il numero 66210, viene successivamente trasferita ad Auschwitz I per essere sottoposta a una terribile sperimentazione medica. Sopravvive per miracolo. Nel gennaio del 1945 deve affrontare anche la “marcia della morte” verso il campo di Bergen-Belsen, dove rimane fino all’arrivo degli inglesi. L’11 settembre di quell’anno rientra finalmente a Roma.
Settimia è una delle prime persone sopravvissute ad Auschwitz a testimoniare il dramma della Shoah. Inizia subito dopo la guerra e continuerà per tutta la vita.
Nel 1996 pubblica il suo libro, Gli anni rubati.
È morta a Roma il 3 luglio 2000, all’età di 79 anni.

 

Nasce il 15 aprile del 1921 ed è la quarta di sei figli. In un primo tempo la famiglia vive a Tivoli dove il padre, Marco Mosè Spizzichino, è commerciante. Dopo la promulgazione delle leggi antiebraiche, persa la licenza del negozio, la famiglia decide di trasferirsi a Roma, presso le figlie Ada e Gentile ormai sposate.
Il 16 ottobre i nazisti irrompono nell’appartamento di via della Reginella 2, dove gli Spizzichino risiedono. Con la prontezza che la contraddistingue, Settimia riesce a salvare la sorella Gentile e i suoi tre figli dichiarandoli non ebrei. Lei però viene deportata con la madre Grazia Di Segni, le sorelle Giuditta e Ada, la nipotina Rosanna di solo 18 mesi.
All’arrivo a Birkenau solo Settimia e Giuditta superano la selezione, mentre le altre vengono mandate alle camere a gas. Giuditta, purtroppo, non sopravvive al lavoro schiavile.
Settimia, immatricolata con il numero 66210, viene successivamente trasferita ad Auschwitz I per essere sottoposta a una terribile sperimentazione medica. Sopravvive per miracolo. Nel gennaio del 1945 deve affrontare anche la “marcia della morte” verso il campo di Bergen-Belsen, dove rimane fino all’arrivo degli inglesi. L’11 settembre di quell’anno rientra finalmente a Roma.
Settimia è una delle prime persone sopravvissute ad Auschwitz a testimoniare il dramma della Shoah. Inizia subito dopo la guerra e continuerà per tutta la vita.
Nel 1996 pubblica il suo libro, Gli anni rubati.
È morta a Roma il 3 luglio 2000, all’età di 79 anni.

Fondazione Museo della Shoah, Roma Fondo David Calò

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Fondazione Museo della Shoah, Roma Fondo Famiglia Camerino

LUCIANO CAMERINO

Figlio di Italo e Giulia Di Cori, nasce a Roma il 23 luglio 1926. Ha un fratello, Enzo, e una sorella, Wanda. Il padre è titolare di un’azienda che, a Monza, produce prefabbricati in legno per l’Abissinia. Dopo la promulgazione delle leggi antiebraiche, le condizioni economiche della famiglia peggiorano sensibilmente. Nel 1943 Luciano vive in viale delle Milizie 11, nel quartiere Prati. Qui viene arrestato il 16 ottobre, con tutta la famiglia: i genitori di 50 e 49 anni, i fratelli di 15 e 25 anni, e uno zio materno, Settimio Renato Di Cori, che all’epoca ha 44 anni (1899-1943).
Quando i nazisti fanno irruzione in casa, i Camerino credono si tratti di una conseguenza dell’aiuto che la famiglia ha prestato ad alcuni soldati e carabinieri italiani che dopo l’armistizio avevano cercato di sottrarsi ai rastrellamenti. Sul camion che li porta al Collegio Militare, la presenza di correligionari, vicini di casa, li convince che si tratta invece di una retata di ebrei.
Tranne lo zio, ucciso subito, ad Auschwitz-Birkenau tutta la famiglia è inserita nel campo per il lavoro schiavile. Della madre e della sorella, tuttavia, si perdono presto le tracce. . Luciano, a cui è assegnato il numero di matricola 158510, viene inviato con Enzo e il padre nel sottocampo di Jawischowitz a lavorare nelle miniere di carbone. Nel giro di poco tempo, però, il padre Italo muore.
Nel gennaio 1945 Luciano viene inserito nelle colonne in marcia verso Buchenwald, dove arriva il 22 gennaio ed è liberato in primavera.
Tornato a Roma, come il fratello Enzo, nel 1949 Luciano sposa Graziella Terracina. Avranno tre figlie: Giulia, Fiorella e Marina. Nel 1966, Luciano decide di raggiungere Firenze nei giorni della tragica alluvione per aiutare la Comunità ebraica locale a mettere in salvo i rotoli della Torah. Qui muore a causa di un malore, all’età di 40 anni.

Figlio di Italo e Giulia Di Cori, nasce a Roma il 23 luglio 1926. Ha un fratello, Enzo, e una sorella, Wanda. Il padre è titolare di un’azienda che, a Monza, produce prefabbricati in legno per l’Abissinia. Dopo la promulgazione delle leggi antiebraiche, le condizioni economiche della famiglia peggiorano sensibilmente. Nel 1943 Luciano vive in viale delle Milizie 11, nel quartiere Prati. Qui viene arrestato il 16 ottobre, con tutta la famiglia: i genitori di 50 e 49 anni, i fratelli di 15 e 25 anni, e uno zio materno, Settimio Renato Di Cori, che all’epoca ha 44 anni (1899-1943).
Quando i nazisti fanno irruzione in casa, i Camerino credono si tratti di una conseguenza dell’aiuto che la famiglia ha prestato ad alcuni soldati e carabinieri italiani che dopo l’armistizio avevano cercato di sottrarsi ai rastrellamenti. Sul camion che li porta al Collegio Militare, la presenza di correligionari, vicini di casa, li convince che si tratta invece di una retata di ebrei.
Tranne lo zio, ucciso subito, ad Auschwitz-Birkenau tutta la famiglia è inserita nel campo per il lavoro schiavile. Della madre e della sorella, tuttavia, si perdono presto le tracce. . Luciano, a cui è assegnato il numero di matricola 158510, viene inviato con Enzo e il padre nel sottocampo di Jawischowitz a lavorare nelle miniere di carbone. Nel giro di poco tempo, però, il padre Italo muore.
Nel gennaio 1945 Luciano viene inserito nelle colonne in marcia verso Buchenwald, dove arriva il 22 gennaio ed è liberato in primavera.
Tornato a Roma, come il fratello Enzo, nel 1949 Luciano sposa Graziella Terracina. Avranno tre figlie: Giulia, Fiorella e Marina. Nel 1966, Luciano decide di raggiungere Firenze nei giorni della tragica alluvione per aiutare la Comunità ebraica locale a mettere in salvo i rotoli della Torah. Qui muore a causa di un malore, all’età di 40 anni.

Fondazione Museo della Shoah, Roma Fondo David Calò

Efrati Cesare

Fondazione Museo della Shoah, Roma Fondo Emilia Efrati

CESARE EFRATI

Detto “Palletta”, figlio di Abramo Umberto e Maria Di Segni , nasce a Roma il 2 maggio 1927 ed è il settimo di tredici fratelli.
Il 16 ottobre viene catturato nella sua casa in via del Portonaccio 112 (zona Casal Bertone) con il padre di 43 anni, la madre di 46 e sette fratelli: Enrica di 20 anni, Angelo di 19, Fortunata di 15, Grazia di 13, Rina di 9, Dora di 5 e il piccolo Marco di 2.
All’arrivo ad Auschwitz, solo Cesare (numero di matricola 158551), suo padre Abramo Umberto e suo fratello Angelo sono selezionati per i lavori forzati; il resto della famiglia viene ucciso subito dopo la selezione, nelle camere a gas.
Il padre muore nelle settimane successive; i due fratelli, dopo un periodo di quarantena a Birkenau, vengono trasferiti nel sottocampo di Jawischowitz e mandati a lavorare nelle miniere di carbone. Con la “marcia della morte”, nel gennaio del 1945, Cesare viene inviato a Buchenwald dove è liberato nel mese di aprile.
Tornato a Roma e ritrovato il fratello Angelo, scopre che un altro dei suoi fratelli, Lazzaro, detto “Burrasca”, 23 anni nel 1943, era stato catturato nella capitale. Inviato a Fossoli, nel maggio del 1944 giunse ad Auschwitz-Birkenau per poi morire Ebensee, sottocampo di Mauthausen, il 26 aprile 1945. Sono, però, vivi altri quattro fratelli – Rosa, Samuele, Anselmo ed Emilia – che erano rimasti nascosti durante il lungo periodo dell’ occupazione tedesca della capitale.
Commerciante di stoffe, nel dopoguerra sposa Giovanna Lucci con la quale ha sei figli: Umberto, Dora, Lazzaro, Rosa, Enrica e Anselmo.
Muore a Roma il 20 maggio 2008, all’età di 81 anni.

Detto “Palletta”, figlio di Abramo Umberto e Maria Di Segni , nasce a Roma il 2 maggio 1927 ed è il settimo di tredici fratelli.
Il 16 ottobre viene catturato nella sua casa in via del Portonaccio 112 (zona Casal Bertone) con il padre di 43 anni, la madre di 46 e sette fratelli: Enrica di 20 anni, Angelo di 19, Fortunata di 15, Grazia di 13, Rina di 9, Dora di 5 e il piccolo Marco di 2.
All’arrivo ad Auschwitz, solo Cesare (numero di matricola 158551), suo padre Abramo Umberto e suo fratello Angelo sono selezionati per i lavori forzati; il resto della famiglia viene ucciso subito dopo la selezione, nelle camere a gas.
Il padre muore nelle settimane successive; i due fratelli, dopo un periodo di quarantena a Birkenau, vengono trasferiti nel sottocampo di Jawischowitz e mandati a lavorare nelle miniere di carbone. Con la “marcia della morte”, nel gennaio del 1945, Cesare viene inviato a Buchenwald dove è liberato nel mese di aprile.
Tornato a Roma e ritrovato il fratello Angelo, scopre che un altro dei suoi fratelli, Lazzaro, detto “Burrasca”, 23 anni nel 1943, era stato catturato nella capitale. Inviato a Fossoli, nel maggio del 1944 giunse ad Auschwitz-Birkenau per poi morire Ebensee, sottocampo di Mauthausen, il 26 aprile 1945. Sono, però, vivi altri quattro fratelli – Rosa, Samuele, Anselmo ed Emilia – che erano rimasti nascosti durante il lungo periodo dell’ occupazione tedesca della capitale.
Commerciante di stoffe, nel dopoguerra sposa Giovanna Lucci con la quale ha sei figli: Umberto, Dora, Lazzaro, Rosa, Enrica e Anselmo.
Muore a Roma il 20 maggio 2008, all’età di 81 anni.

Fondazione Museo della Shoah, Roma Fondo David Calò

Sabatello Leone

Fondazione Museo della Shoah, Roma Fondo Leone Sabatello

LEONE SABATELLO

Detto “Leoncino”, figlio di Alberto Abramo e di Celeste Tagliacozzo, nasce a Roma il 18 marzo 1927. La sua è una famiglia numerosa: è, infatti, l’ultimo di sette fratelli.
Il 16 ottobre Leone si trova in casa, in via del Portico d’Ottavia 9, con i genitori (entrambi di 51 anni), uno zio paralitico, Giovanni Sabatello, di 55 anni, le cinque sorelle, Graziella (27 anni), Italia (25), Emma (24), Enrica (22) e Letizia (20). È presente anche la cognata Enrica Tagliacozzo (31 anni) con le due nipotine, Alba Celeste (3 anni) e la neonata Liana Ornella. Unico assente, il fratello Rubino, ospite di amici cattolici a Ciampino, che lo nascondono. Al momento dell’arresto, la cognata Enrica potrebbe fuggire perché in terrazzo a lavare i panni, ma si consegna all’istante per non abbandonare le sue bambine.
Nel viaggio verso Auschwitz, durante la sosta a Padova, a Leone è concesso di scendere per procurarsi dell’acqua. Al suo ritorno trova il vagone già chiuso, ma lui, con urla disperate, riesce a farlo riaprire e a riunirsi alla sua famiglia.
All’arrivo ad Auschwitz, è il solo a essere selezionato per il lavoro; tutti gli altri vengono immediatamente uccisi nelle camera a gas. Con il numero di matricola 158621, è assegnato al sottocampo di Jawischowitz, per lavorare nelle miniere di Brzeszcze fino all’evacuazione del complesso. Finisce nel KL Buchenwald e viene liberato nei pressi di Berlino nell’aprile del 1945.
Dopo la guerra, tornato a Roma, ricomincia a lavorare occupandosi del trasporto di materiali. Nel 1948 sposa Rina Calò, con la quale avrà cinque figli: Alba Celeste, Alberto, Giudit, Graziella e Marina.
Non si è mai rassegnato all’idea che nessuna delle sue cinque sorelle sia sopravvissuta.
È morto a Roma il 5 ottobre 2008, all’età di 81 anni.

Detto “Leoncino”, figlio di Alberto Abramo e di Celeste Tagliacozzo, nasce a Roma il 18 marzo 1927. La sua è una famiglia numerosa: è, infatti, l’ultimo di sette fratelli.
Il 16 ottobre Leone si trova in casa, in via del Portico d’Ottavia 9, con i genitori (entrambi di 51 anni), uno zio paralitico, Giovanni Sabatello, di 55 anni, le cinque sorelle, Graziella (27 anni), Italia (25), Emma (24), Enrica (22) e Letizia (20). È presente anche la cognata Enrica Tagliacozzo (31 anni) con le due nipotine, Alba Celeste (3 anni) e la neonata Liana Ornella. Unico assente, il fratello Rubino, ospite di amici cattolici a Ciampino, che lo nascondono. Al momento dell’arresto, la cognata Enrica potrebbe fuggire perché in terrazzo a lavare i panni, ma si consegna all’istante per non abbandonare le sue bambin